Splendente Di Gloria

CAPITOLO 2°

Domande pratiche relative al
messaggio del 1888

Il Messaggio del 1888 compie qualcosa di pratico per coloro che vi credono?

Si, esso operò immediatamente dopo la conferenza di Minneapolis un risveglio e una riforma fra i membri laici che l’udirono (v. A. V. Olson, Through Crisis to Victory, pp. 56-81). La riforma sarebbe stata completa, se non ci fosse stata l’opposizione continua dei dirigenti della Conferenza Generale e della Review and Herald (Ellen White, Review and Herald, 11 e 18 marzo 1890).

Il messaggio reca oggi gioia e speranza a migliaia di cuori che ascoltano e credono.

In che modo la temperanza e la riforma sanitaria sono correlate col messaggio del 1888?

Il messaggio del 1888 recupera il vero motivo per praticare la temperanza e la riforma sanitaria, mettendo in relazione la giustificazione per fede con la purificazione del santuario celeste.

Sebbene noi viviamo nel Giorno antitipico dell’Espiazione, generalmente troviamo all’interno della chiesa un disinteresse per questa verità. Contemporaneamente il cosiddetto “alcoolismo moderato” è diventato un problema così grave che nelle edizioni ufficiali della nostra chiesa compaiono degli articoli che cercano di risolvere il problema.

Le proibizioni bibliche dell’alcool furono generalmente insegnate dalle chiese evangeliche prima della revoca del proibizionismo negli Stati Uniti nel 1933 [quando fu di nuovo liberalizzato il commercio degli alcolici]; ma ora gli evangelici hanno largamente abbandonato quanto avevano allora sostenuto, ed oggi sono favorevoli al cosiddetto “alcolismo moderato.”

Perché gli evangelici hanno largamente perduto il loro zelo contro l’alcool?

Ad essi è mancata la motivazione che sarebbe stata loro fornita dalla comprensione del Giorno dell’Espiazione. Anche noi possiamo citare le stesse proibizioni bibliche, “non bere,” “dì ‘no’ al calice spumeggiante,” ecc., ma senza quella grande motivazione fornita dalla verità del santuario, tali proibizioni si dimostreranno ugualmente inefficaci fra di noi, e soprattutto fra i nostri giovani. Stiamo assistendo attualmente ad un aumento allarmante dell’alcoolismo sociale in certi circoli avventisti, specialmente nelle nostre maggiori istituzioni.

La verità unica ed esclusiva del santuario è il "mozzo" da cui s'irradiano tutti i raggi della riforma sanitaria e della temperanza avventiste. La negligenza su questa verità è correlata col nostro problema dell’alcoolismo.

Perché la giustificazione per fede è così importante nel contesto del Giorno dell’Espiazione?

Ellen White dice che “la comprensione corretta del ministero nel santuario celeste costituisce il fondamento della nostra fede” (Evangelism, p. 221), “il pilastro centrale che sostiene la struttura della nostra posizione nel tempo presente” (Lettera 126, 1897). A meno che noi non comprendiamo chiaramente il ministero di Cristo nel santuario, “sarà per noi impossibile … esercitare la fede che è essenziale in questo momento” (The Great Controversy [Il Gran Conflitto], p. 488). Questa “fede” costituisce l’unico modo efficace per combattere l’intemperanza. La paura della malattia o di catastrofi, ed anche la paura della morte e dell’inferno stesso, non è una motivazione abbastanza forte. Noi possiamo insistere fino alla noia con la motivazione della paura, ma essa non fernerà i nostri giovani nei momenti della tentazione:

Noi possiamo insistere sulla punizione di ogni peccato, e su quanto sia terribile la punizione inflitta per la nostra colpa, ma questo non intenerirà e non soggiogherà l’anima (MS. 55, 1890).

Gli Israeliti dell’antichità bevevano alcool?

Mentre è ben vero che Dio ha sempre proibito il consumo dell’alcool, il Suo popolo ebbe anticamente un problema a questo riguardo (vedere, ad esempio, Genesi 9:20, 21; 1 Samuele 25:36-38; Ruth 3:7; 2 Samuele 13:28, ecc.). La Bibbia ha anche proibito la vanità e il materialismo, tuttavia entrambi furono praticati. Ma il popolo di Israele non beveva mai nemmeno una goccia di alcool nel Giorno dell’Espiazione (Lev. 16:29, 30; 23:27-32).

E’ vero che l’intemperanza e l’“alcoolismo moderato,” ed anche l’impiego di droghe, “abbondano” oggi, e ciò succede anche nella chiesa. Ma niente può risolvere questo problema, se non la rivelazione di una “grazia molto più abbondante,” quel tipo di grazia che è ministrata dal Sommo Sacerdote nella Sua opera di espiazione finale nel luogo santissimo.

In questi ultimi giorni “pericolosi”, occorre trovare una motivazione migliore che non l’interesse personale od anche l’interesse collettivo, e questa motivazione dovrà essere caratterizzata dalla giustificazione che il Salvatore ci diede gratutitamente. Parlando di nuovo del messaggio del 1888, Ellen White lo mise in relazione con le verità del Giorno dell’Espiazione:

Noi siamo nel giorno dell’espiazione, pertanto dobbiamo operare in armonia con l’opera di Cristo della purificazione del santuario dai peccati del popolo. … Noi dobbiamo ora presentare alla chiesa [che comprende anche i nostri giovani] l’opera che per fede sappiamo che sta per essere compiuta dal nostro Sommo Sacerdote nel santuario celeste (Review and Herald, 21 gennaio 1890).

Qual è la motivazione veramente efficace per la temperanza e la riforma sanitaria?

Il motivo per praticare la riforma sanitaria non è un prolungamento della vita di alcuni anni in più, onde continuare una vita facile e lussuriosa; il vero motivo è di poter disporre di uno spirito più chiaro per poter così comprendere l’opera di Cristo come Sommo Sacerdote nell’espiazione finale. Le migliori condizioni di salute che noi godiamo devono consentirci di servire Cristo ed i nostri simili con efficacia, non devono servire alla ricerca di più divertimenti e piaceri personali. Le migliori condizioni di salute costituiscono una risposta al Suo amore proveniente dal profondo del cuore, piuttosto che un interesse personale per i vantaggi che ci possono dare la temperanza e la riforma sanitaria.

Il numero speciale del 25 febbraio 1982 dell’Adventist Review, dedicato alla temperanza, comprende un breve richiamo alla purificazione del santuario come motivo reale del nostro messaggio avventista del settimo giorno sulla salute e sulla temperanza. Sarebbe meraviglioso se il soggetto fosse trattato più ampiamente nei nostri ambienti, anche con una maggiore diffusione nella nostra stampa ufficiale.

Che cos’è il peccato? Possiamo definirlo come una relazione interrotta?

“Relazione” è una parola nebulosa, vaga. Una relazione può essere sia buona che cattiva. Questa parola non compare nella Scrittura. Invece il peccato è definito nella Scrittura come trasgressione della legge o come odio della legge (anomia; 1 Giov. 3:4). Il peccato è più che una relazione interrotta; è una ribellione contro Dio.

La differenza può essere illustrata con la croce di Cristo. Quando Cristo soffrì nelle tenebre sulla croce, Egli fece indubbiamente l’esperienza di una “relazione interrotta,” poiché infatti gridò: “Dio mio, Dio mio, perché Mi hai abbandonato?” Tuttavia questa relazione interrotta non voleva dire che Cristo avesse peccato. Nella Sua totale solitudine, nelle tenebre, nell’abbandono, nella disperazione, Egli scelse di non peccare, poiché scelse di credere. “Dio è agape” (1 Giov. 4:8); quindi l’agape può sopportare una relazione interrotta senza pertanto peccare. Ciò dimostra che una “relazione interrotta” non può costituire una definizione appropriata del peccato.

La Bibbia esprime le vere definizioni del peccato e della fede più chiaramente di quanto non lo possa esprimere la parola “relazione.” La confusione provocata da questa parola può essere la causa della mancanza di certezza di tante persone. Arnold Wallenkampf commenta così:


La parola “relazione” è spesso utilizzata oggi nella conversazione. Essa è usata anche in materia di religione, dove implica una connessione salvifica con Dio. Ma relazione non è una panacea. Si può trattare semplicemente di un incontro intersoggettivo tra una o più persone o fra organizzazioni. … Tutti e tre i viandanti che si erano imbattuti sull’uomo sfortunato che era stato derubato e percosso sulla strada di Gerico (v. Luca 10:25-37) intrattennero una relazione con lui. Quindi la parola relazione non è adeguata a descrivere la connessione salvifica di una persona con Dio.

Una relazione con Dio non costituisce di per se una garanzia di salvezza. Satana stesso intrattiene una relazione con Dio. La salvezza deriva solo da una relazione d’amicizia, o di comunione d’anima, con Dio. Solo la relazione d’amicizia del samaritano col viandante sofferente ha salvato quest’ultimo dalla morte (What Every Adventist Should Know About 1888, p. 86).

Quest’idea di Cristo che muore per “tutti gli uomini” fa sorgere questa obiezione: “Quand’è che il nome di una persona viene iscritto nel Libro della Vita?”

Nell’indice degli scritti di Ellen White troviamo molti riferimenti a coloro che sono “iscritti nel libro della vita.” Ma, a parte due eccezioni, essi non dicono quando viene scritto il nome.

Ed anche queste due eccezioni non sono troppo chiare: (a) “Quando diventiamo figli di Dio i nostri nomi sono scritti nel libro della vita dell’Agnello, ed essi vi rimangono fino al momento del giudizio investigativo” (Bible Commentary, vol 7, p. 987). (b) “La giustizia di Dio viene imputata al peccatore attraverso il pentimento per i suoi peccati, la fede in Cristo e l’obbedienza alla legge perfetta di Dio: la giustizia di Dio diventa la sua giustizia, ed il suo nome viene registrato nel libro di vita dell’Agnello” (Testimonies, vol. 3, pp. 371, 372).

Quand’è che un peccatore può ravvedersi e diventare “un figlio di Dio”?

In certi casi, ad un’età molto precoce. Dal seno di sua madre Elisabetta, il bimbo Giovanni Battista rispose allo Spirito (Luca 1:44). Geremia fu chiamato dal seno di sua madre, fu santificato e predisposto ad essere un profeta (Geremia 1:5). In un certo senso, Cristo è stato il “Salvatore di tutti gli uomini” ancor prima che essi rispondessero. A motivo del Suo amore, “tutti gli uomini” sono candidati alla vita eterna in virtù del Suo sacrificio.

Il Suo sacrificio ha fornito effettivamente la vita a tutti gli uomini (Rom. 5:18). Il libro della vita e il dono della vita vanno di pari passo. Dio “vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1 Tim. 2:4). Siccome Cristo ha scelto di “gustare la morte per tutti” (Ebrei 2:9), Egli ha sancito per “ogni uomo” la vita, il contrario della morte che Egli ha gustato per loro.

Certamente il Signore vuole che il nome di ognuno sia scritto nel libro della vita, e quei nomi vi rimarranno iscritti, a meno che essi, scegliendo le tenebre invece della luce, pongano il loro veto all’“elezione” alla vita eterna che Dio ha già scelto per loro (Giov. 3:16-19).

Nelle tenebre del nostro spirito noi non ci rendiamo conto della Sua misericordiosa elezione a salvarci fin tanto che non venga il momento in cui udiamo di essa, crediamo e agiamo in risposta. In quel momento, per quel che ci riguarda, i nostri nomi sono registrati in quel libro.

A che età si può dire che il nome di un bambino è iscritto nel libro della vita?

Noi non dobbiamo mai tracciare un cerchio per escludere un bambino dalla certezza dell’elezione di Dio a vita eterna. In The Desire of Ages [La Speranza dell’Uomo] leggiamo che Cristo “non ha mai rifiutato il più semplice dei fiori colto dalla mano di un bambino e offerto a Lui con amore. Egli ha accettato le offerte dei bambini ed ha benedetto i donatori, scrivendo i loro nomi nel libro della vita” (p. 564). Bambini dell’età di soli due o tre anni possono cogliere un fiore e donarvelo come espressione del loro amore.

Paolo ci presenta in Ebrei 7:9 un concetto inconsueto che ci può aiutare a comprendere: “Nella persona d’Abramo, Levi stesso … fu sottoposto alla decima; perch’egli era ancora ne’ lombi di suo padre, quando Melchisedec incontrò Abramo.” In altre parole, Dio ha scritto nel Suo “libro” che Levi ha pagato la decima ancor prima di essere concepito! “Dio … chiama le cose che non sono, come se fossero” (Rom. 4:17).

Anche l’illustrazione del fanciullo ingenuo che Paolo ci presenta in Galati 4:1 ci può servire d’aiuto. Il figlio del padrone del patrimonio è trattato rudemente dagli schiavi fin tanto che egli non arriva all’età adulta. A quell’età il ragazzo non si rende conto di quel che egli effettivamente è. Ma in tutto questo tempo egli è il vero signore del patrimonio. Suo padre l’aveva “iscritto” come tale prima che egli se ne rendesse conto.

Qual è l’importanza di questa verità ai fini di conquistare le anime?

Noi non dobbiamo dire a nessuno che Dio progetta di escluderlo dal cielo. Il piano della salvezza non richiede che il peccatore faccia il primo passo nel piano di Dio per la sua salvezza, poiché Dio ha già fatto il primo passo “in Cristo.” E Giovanni 3:16 ci dice che la parte del peccatore consiste nel rispondere con una fede sentita nel profondo del cuore, poiché “col cuore si crede per ottener giustizia” (Rom. 10:10).

Dire al peccatore che Dio l’ha predestinato alla vita eterna fa parte della Buona Novella, poiché Dio non ha predestinato nessuno ad essere perduto. Così, nella Sua infinita misericordia, Egli ha già considerato il peccatore come candidato al cielo, e se questi accetta quel grande privilegio, risponde e riporta la vittoria; Dio conserva il suo nome nel libro della vita. Il peccatore deve capire che attraverso una resistenza continua alla grazia di Dio, egli sta prendendo l’iniziativa di cancellare il suo proprio nome.

Se la malattia di un paziente è stata guarita, egli non ha più bisogno di medicine. Il nostro popolo non possiede oggi una comprensione della giustificazione per fede molto migliore che nei decenni passati? Il messaggio del 1888 non dovrebbe essere ridotto al silenzio oggi?

Un secolo fa Ellen White ha parlato così di questo messaggio: “Non si trova nemmeno una persona [avventista] su cento che comprenda la verità biblica su questo soggetto [giustificazione per fede], che è così necessario per il nostro benessere presente ed eterno” (Review and Herald, 3 settembre 1889); citato in A. G. Daniells, Christ Our Righteousness, p. 87).

Il nostro popolo dispone oggi di una maggior dose di comprensione? Daniells ai suoi giorni (1926) disse che a suo parere la risposta era negativa, poiché egli disse che “il messaggio [del 1888] non è mai stato né ricevuto, né proclamato, e nemmeno gli è stato dato libero corso, come invece si sarebbe dovuto fare” (p. 47). In certe occasioni sono stati presentati dei concetti evangelici, che sono stati etichettati come “messaggio del 1888,” ma in queste presentazioni erano assenti gli elementi fondamentali del messaggio. Un’analisi motivata può documentare tale fatto. Quando, nel corso della nostra storia dell’ultimo secolo, si può dire che le verità del 1888 siano state recuperate e promulgate?

L’Adventist Review del 6 gennaio 1991 ha riferito una recente indagine, secondo cui il 70 % dei nostri giovani non comprende il vangelo. Per “vangelo” l’inchiesta intende le dottrine evangeliche fondamentali, così come vengono professate dalle chiese non-avventiste (l’inchiesta, eseguita dall’Istituto Valuegenesis, si basava sui criteri del Research Institute).

Quindi i fatti dimostrano che verosimilmente, oggi, una percentuale ancora minima dei nostri giovani comprende le verità uniche della giustificazione per fede, cui faceva riferimento più sopra Ellen White.

Difficilmente essa avrebbe potuto dire che “nemmeno una persona su cento” aveva compreso ai suoi giorni il concetto protestante popolare della giustificazione per fede così come esso è insegnato da Moody o da Spourgeon, poiché questi erano predicatori ben noti del 19° secolo, ed i loro sermoni erano stati letti da un gran numero di fedeli. Essa si riferiva invece proprio al messaggio del 1888.

Quando questi concetti vengono presentati oggi nelle nostre congregazioni, molti, giovani e adulti, testimoniano sovente che essi non li avevano mai compresi in precedenza, anche se essi erano già stati battezzati nella chiesa da anni e, talvolta, da decenni.

Noi non abbiamo un profeta che possa fornirci oggi una percentuale di membri ispirati, così come invece si è verificato un secolo fa. Che la percentuale sia oggi superiore o no all’“uno su cento,” un fatto è comunque chiaro: se la percentuale fosse sostanzialmente superiore, la chiesa non potrebbe essere tiepida, poiché il fatto di comprendere e credere questa gloriosa verità rende impossibile la tiepidezza.

Io sto cercando di capire a che punto la giustificazione diventa nostra come esperienza personale.

L’unica risposta biblica è questa: al punto in cui noi cominciamo a credere quanto la Buona Notizia sia veramente buona. Cioè, al punto in cui il nostro cuore comincia ad apprezzare quel che è costato al Figlio di Dio redimerci. Questa è la fede del Nuovo Testamento, e la giustificazione effettiva viene attraverso questa fede.

Secondo Galati 5:6 questa fede comincia ad “operare” immediatamente, e l’esperienza di questa fede costituisce la giustificazione soggettiva per fede. Waggoner dice che il nostro problema maggiore è l’incredulità, ossia il contrario della fede:

Quanto alla vostra appartenenza a Cristo, voi stessi potete stabilirlo. Voi avete visto quel che Egli ha dato per voi. Ora la questione è questa: vi siete consegnati a Lui? Se voi vi siete consegnati a Lui, potete essere certi che Egli vi ha accettati. Se voi non Gli appartenete, l’unico motivo è perché voi avete rifiutato di consegnarGli quel che Egli ha acquistato. Voi lo state derubando. …

Dunque, per quanto riguarda il fatto che voi sostenete di credere alle Sue parole, pur dubitando che Egli vi accetti, poiché voi non ne sentite la testimonianza nel vostro cuore, io continuo ad insistere che voi in realtà non credete (Christ and His Righteousness, 1890, pp. 74, 75).

Notate come la giustificazione oggettiva abbia già avuto luogo alla croce per “tutti gli uomini.” I nostri peccati sono stati “imputati” a Cristo (2 Cor. 5:19). Ma questa giustificazione oggettiva non compie alcun cambiamento nel cuore. Quando il peccatore apprezza e crede tale giustificazione, l’esperienza soggettiva diventa allora una realtà, od almeno comincia a divenire tale. Questa esperienza è continua e s'accresce durante tutta la vita.

Sto ancora cercando di capire che cosa chiede Dio affinché la giustificazione diventi parte della nostra esperienza personale.

La sola risposta biblica possibile continua ad essere un’unica parola: fede. Questo è tutto quel che Dio richiese ad Abramo (Gen. 15:6). La parola ebraica “credere” costituisce la radice della nostra parola “amen.”

Anche la risposta di Ellen White è la stessa. Il Signore domanda una sola cosa: “Se noi veniamo a Cristo, allora qual è la condizione? … Una fede vivente” (MS. 9, 1890).

Per esempio, considerate il testo ebraico di Geremia 11:5, cioè la risposta di Geremia al “patto” che il Signore enunciò. Geremia non fece alcuna allusione ad una promessa del genere di quella che aveva fatto Israele al Sinai. Egli pronunciò solo la parola “amen.” Ciò è tutto quel che il Signore abbia mai richiesto ad ogni persona in ogni tempo. Una vera risposta di fede include una dinamica intrinseca che si concreterà con tutte le opere e la cooperazione che rendono il credente totalmente obbediente a tutti i comandamenti di Dio.

La giustificazione per fede si occupa solamente dei peccati passati?

Una semplice confessione dei peccati del passato non è vera confessione nel senso di 1 Giovanni 1:9. Noi non comprendiamo veramente che cosa siano i nostri peccati per doverli “confessare”, fin tanto che non ci rendiamo conto del fatto che i nostri peccati sono più profondi di quanto non avessimo prima superficialmente creduto. “In Adamo”, la Bibbia percepisce l’intero genere umano come un unico uomo. Ciò spiega la nostra relazione corporativa, collettiva. Se noi non avessimo avuto un Salvatore, noi saremmo colpevoli dei peccati del mondo intero in modo corporativo. Nessuno di noi è in modo innato, per natura, migliore di qualsiasi altra persona.

Romani 3:23 dice (versione NEB) che “tutti hanno similmente peccato.” La nostra vera colpa consiste in quel che noi faremmo se ne avessimo l’occasione di peccare, similmentea ad alti che hanno peccato: “I libri del cielo registrano i peccati che sarebbero stati commessi se si fosse presentata l’occasione” (Ellen White, Bible Commentary, vol. 5, p. 1085).

Secondo il messaggio del 1888 la vera giustificazione per fede è una realtà presente in continuo progresso. Essa non comprende solo i peccati del passato, ma vi troviamo sepolto il peccato della presente inimicizia del nostro cuore contro la giustizia, che ha bisogno di essere riconosciuto e quindi confessato intelligentemente.

La nostra colpa personale che noi conosciamo, riguarda i peccati che sappiamo di aver commesso personalmente. Ma ciò rappresenta solamente la punta dell’iceberg della realtà, e ci mostra quello che sarebbe il resto dell’iceberg, se non fosse per la grazia di Dio.

La questione non consiste solo nel confessare affinché “il passato” non abbia più a perseguirci; ma noi non dobbiamo permettere neanche alla nostra colpa presente di perseguirci in giudizio. In accordo con quanto abbiamo detto più su, i libri del cielo registrano ogni peccato che io commetterei se ne avessi “l’occasione.” Ciò deve comprendere la crocifissione del Figlio di Dio! Quindi il vero pentimento e la vera confessione devono comprendere anche questo.

E ciò ci conduce a Zaccaria 12:10-13; 13:1:

E spanderò sulla casa di David e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di supplicazione; ed essi riguarderanno a me, a colui ch’essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figliuolo unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito. … E il paese di Israele farà cordoglio. Tutta la nazione sarà prostrata in una doglia universale: re, profeta, sacerdote e popolo. … In quel giorno vi sarà una Fonte aperta per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme, una Fonte per mondarli di tutti i loro peccati e della loro impurità (The Living Bible).

Ellen White applica parecchie volte questo passaggio all’opera di suggellamento che deve aver luogo prima che si chiuda il tempo di grazia (cf. The Desire of Ages, p. 300; Signs of the Times, 28 gennaio 1903).

Per molti anni “noi” abbiamo interpretato male la verità della giustificazione per fede del 1888. Come risultato, abbiamo resistito al concetto della colpevolezza e del pentimento collettivi. Vi è stata fame di quella giustificazione per fede, la sola che purifica i cuori del popolo di Dio (secondo la versione King James della Bibbia, “della casa di Davide e degli abitanti di Gerusalemme”).

Il Signore desidera accordarci questa conoscenza autentica; ed allora si aprirà quella fonte per il peccato e per l’impurità. Possa quel giorno arrivare presto.

Non c’è il pericolo di rendere la Buona Novella troppo buona?

Il vangelo è certamente la Buona Novella. Non è che il Signore ci salvi nei nostri peccati, ma dai nostri peccati. Il Suo ruolo è quello di essere un tale Salvatore, ed Egli ne è certamente capace. Il problema sta nella nostra mancanza di volontà di rinunciare al peccato.

Non è una buona notizia il fatto che Egli ci lasci sguazzare nel pantano del peccato mentre noi professiamo una vana speranza. Egli può liberare effettivamente dal peccato, preparando così un popolo per la Sua seconda venuta.

Noi non possiamo essere onesti e negare che “Iddio ha tanto amato il mondo, che ha dato [non prestato] il Suo unigenito Figliuolo, affinché chiunque crede in Lui [non chiunque fa tutto quel che è giusto] non perisca, ma abbia vita eterna.” Il Suo amore è attivo; Egli è un Buon Pastore che cerca la Sua pecora smarrita. Per essere perduto, uno deve resistere alla Sua grazia.

No, quella Buona Notizia è pura, ed essa è buona. E’ buona perché la grazia di Dio impartisce al cuore che crede un desiderio di abbandonare il peccato. Allora il credente sarà motivato ad obbedire totalmente. Gesù dice:

Venite a Me voi tutti che siete travagliati ed aggravati, e Io vi darò riposo. Prendete su voi il mio giogo ed imparate da me, perch’Io son mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero (Matt. 11:28-30).

Ei t’è duro di ricalcitrar contro gli stimoli (Atti 26:14).

Ho sentito dire che il messaggio del 1888 interpreta alcuni testi come questi, al contrario di come li abbiamo sempre compresi.

Si, questo può essere vero. Il puro vangelo disturba sempre i membri di chiesa tiepidi. L’interpretazione comune che è stata fatta penetrare nello spirito del nostro popolo, specialmente nello spirito dei nostri giovani, ritiene molto difficile essere buoni cristiani, con il grave rischio di essere perduti. Gesù dice il contrario, come può riconoscere chiunque rifletta sulle Sue parole di vita.

Ecco un altro testo che è comunemente compreso al contrario:

La carne ha desideri [lotta contro] contrari allo Spirito, e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte fra loro; in guisa che non potete fare quel che vorreste (Gal. 5:17).

Molti di noi hanno pensato che ciò significa che noi non possiamo fare le cose buone che vorremmo fare. Ma il messaggio del 1888 vede questo testo in senso opposto a questa interpretazione! Se noi crediamo quanto sia veramente buona la Buona Novella, lo Spirito Santo si rivela essere più forte della carne, e siccome Egli combatte contro la carne, la carne è vinta, e noi non possiamo fare le cose cattive che essa ci spronerebbe a fare. In altre parole, questo è un commento su Romani 1:16, dove leggiamo che “il vangelo è potenza di Dio per la salvezza”.

La luce è più forte delle tenebre; l’amore è più forte dell’odio; la grazia è più forte del peccato; e lo Spirito Santo è più forte della carne. Il punto di vista del 1888 è corretto, poiché il versetto 16 di Galati 5 dice: “Camminate per lo Spirito e non adempirete i desideri della carne.”

Si, la Bibbia può ben dire che la Buona Novella è molto buona; ma non dice Ellen White che non è proprio così buona fino al punto che dite voi?

Ellen White non intende mai contraddire la Bibbia, e sicuramente non contraddice il Signore Gesù Cristo. Essa non nega il concetto della giustificazione per fede del 1888, ma è possibile che noi leggiamo nei suoi scritti le nostre proprie idee arminiane di cui ci siamo nutriti durante tutta la nostra vita. Così, noi possiamo leggere Ellen White nello stesso modo in cui gli antichi Ebrei leggevano l’Antico Testamento: con un velo sul nostro cuore (Cf. 2 Corinzi 3:14-16).

Quando la sorella White parla di “custodire la giustificazione,” il contesto indica sempre che essa si riferisce alla giustificazione per fede. Chiunque persista deliberatamente nel peccato, rinnega la sua esperienza di giustificazione per fede. Se egli persisterà nel peccato e “avrà tenuto per profano il sangue del patto col quale è stato santificato” (Ebrei 10:29), egli avrà disprezzato la grazia di Dio e avrà ripreso su di sé la piena condanna. Nondimeno Ellen White mostra il suo entusiasmo a proposito del fatto che il sacrificio di Cristo ha incluso tutto il mondo.

Ciò deve significare che alcun debito legale sta contro di noi nel libro del cielo, a meno che noi non rigettiamo quella giustificazione già realizzata per noi, e che “si è già estesa” su di noi, per usare la fraseologia di Romani 5:18. Cristo ha tolto l’accusa scritta contro di noi, inchiodandola sulla Sua croce (cf. Col. 2:13, 14).

E’ possibile prendere delle parole, delle frasi, delle proposizioni di Ellen White e combinarle insieme per dare l’impressione che essa neghi quel che Gesù ha detto a proposito del Suo giogo che è “dolce,” e del suo peso che è “soave.” Ma considerando i suoi scritti nel loro contesto riconosciamo che essa non ha mai osato contraddire il Signore Gesù, che la riscattò col Suo sangue. Essa disse:

Pertanto dunque non concludete che il sentiero che sale sia difficile, mentre la strada che discende sia la via facile.Tutta la strada che porta alla morte è disseminata di dolori e punizioni, di dispiaceri e delusioni, con avvertimenti di non continuare su quella via. L’amore di Dio ha reso difficile per i negligenti e i caparbi distruggere se stessi. … E lungo tutta la strada ripida che conduce alla vita eterna, vi sono fonti di gioia per ristorare coloro che sono spossati. (Thoughts from the Mount of Blessing, pp. 139, 140).

Se questo si rivela essere vero, la Buona Notizia è buona. Ma come fa lo Spirito Santo a combattere con tanto successo contro la carne?

Lo Spirito Santo viene in qualità di Confortatore (parakletos), cioè in qualità di Colui che è chiamato a venire a sedersi al nostro fianco e a non abbandonarci mai (para come in parallelo, e kletos, chiamato). Egli non ci abbandonerà mai, a meno che noi non lo respingiamo (Giov. 14:16-18; 16:7-13).

Un esempio di come Egli opera lo troviamo in Isaia 30:21: “E quando andrete a destra o quando andrete a sinistra, le tue orecchie udranno dietro a te una voce che dirà: ‘Questa è la via; camminate per essa!’” Se considerate la vostra vita passata, riconoscerete che quando avete fatto degli errori, ciò è sempre accaduto perché voi non avete ascoltato quella “voce.”

La nostra parte consiste nell’ascoltarLo, nel prestarGli attenzione, nel risponderGli, nel consentirGli di guidarci. Quand’Egli ci convince di peccato, la nostra parte consiste nel dire: “Grazie, o Signore, io credo a ciò e rinuncio con gioia al peccato.” Se la nostra risposta non è positiva, se noi Gli resistiamo, ciò costituisce l’unico modo in cui possiamo essere perduti. Il peccato è una resistenza costante allo Spirito Santo, un allontanarsi da Lui, scegliendo la nostra propria via invece della Sua. L’essenza del messaggio del 1888, consiste nel fatto che Dio desidera la nostra salvezza molto di più di quel che abbiamo pensato. E’ compito del Sommo Sacerdote, e non compito nostro, purificare il Suo santuario; tuttavia noi dobbiamo cooperare con Lui e consentirGli di compiere la Sua opera.

Io vorrei saperne di più a proposito del fatto che è facile essere salvati e difficile essere perduti. Questo è un concetto nuovo!

Paolo ci spiega questa verità sublime in 2 Corinzi. Egli ha offerto la sua vita in un servizio illimitato per Cristo, sopportando “più di loro per le fatiche, più di loro per le carcerazioni, … tre volte sono stato battuto con le verghe; una volta sono stato lapidato; tre volte ho fatto naufragio;” e così di seguito egli continua a fornirci il dettaglio delle sue persecuzioni (cap. 11:23-28). Perché non ritirarsi e lasciare i più giovani di lui a portare questi fardelli?

Paolo dice che non può fermarsi. Egli sta difendendo se stesso dall’accusa di essere “matto,” o “fuori di senno:” “Poiché l’amore (agape) di Cristo ci costringe” (cap. 5:14).

Paolo dice che egli non era fatto di una materia migliore della nostra. Egli ha semplicemente visto qualcosa che noi non abbiamo visto: il vero significato della croce di Cristo.

L’apprezzamento delle dimensioni sublimi dell’agape, così com’esso è stato rivelato alla croce, costituisce la motivazione mancante per servire il Signore. Ogni motivazione centrata su se stessi, basata sulla paura o sulla speranza di una ricompensa, è puerile, similmente alla damigella d’onore ad uno sposalizio, che s’interessa solo ai pasticcini e al gelato. In questo senso essa è “sotto la legge” (cf. Rom. 6:14). La sposa ha scoperto una motivazione migliore per venire alle nozze: lei pensa allo sposo, e non s’interessa punto dei pasticcini e del gelato. Lei è “sotto la grazia,” è sotto una nuova motivazione imposta da un apprezzamento maturo, sentito dal profondo del cuore, della personalità e della persona dello sposo.

Ciò non vuol dire che Paolo sia stato forzato contro la sua volontà. Egli avrebbe potuto scegliere di disprezzare la croce e di calpestare il Redentore crocifisso. Ma egli scelse di credere al vangelo. Egli prosegue dicendoci perché quell’amore è diventato per lui una forza motivante così potente:

… siamo giunti a questa conclusione: che uno solo morì per tutti, quindi tutti morirono [oppure, tutti sarebbero morti, se Egli non fosse morto per loro]; e ch’Egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per loro stessi, ma per Colui che è morto e resuscitato per loro (2 Cor. 5:14, 15).

Cosa vogliono dire questi versetti nel linguaggio odierno?

L’amore di Cristo è una motivazione così potente che diventa impossibile per una persona che crede nel vangelo di continuare a vivere per se stessa. Essa avverte ora quella costrizione che la spinge a vivere per Cristo. La potenza dell’amore-agape è la ragione per cui è facile essere salvati e difficile essere perduti, se il cuore di una persona semplicemente crede nella Buona Novella.

Potete spiegarmi perché certe traduzioni della Bibbia dicono che è “difficile” essere salvati (Matt. 7:14)? Ciò non contraddice il messaggio del 1888?

La versione NKJV (New King James Version) dice: “Stretta invece è la porta e difficile la via che mena alla vita, e pochi son quelli che la trovano.” Ma altre versioni non dicono “difficile.”

La parola greca tradotta con “difficile” è thlibo, che significa “compresso,” “spremuto,” pigiato,” “incassato come in una gola montana.” Ma è facile passare attraverso una gola stretta, se voi abbandonate i vostri bagagli. I “nostri” bagagli sono costituiti dall’amore di se stessi.

Le versioni corrette dicono: “angusta [o “stretta”] è la via che mena alla vita.”

Si, ma quel che io trovo così difficile è abbandonare i miei bagagli. Non è facile rinunciare a se stessi.

Ciò è molto vero, a meno che noi non abbiamo compreso la croce di Gesù. Andate nell’oscuro Getsemani, inginocchiatevi presso Gesù mentre nell’agonia della Sua tentazione suda gocce di sangue, ed acoltateLo pregare: “Padre Mio, se è possibile, passi oltre da Me questo calice! Ma pure, non come voglio Io, ma come Tu vuoi” (Matt. 26:39). Quando il vostro cuore entra in comunione con Lui per fede, voi troverete facile abbandonare i vostri bagagli dell’amore di se stessi, perché voi sarete “incorporati in Cristo,” resi uno in Lui, apprezzando quanto Gli costò salvarvi.

Se noi rendiamo la Buona Novella troppo buona, la gente non profitterà di questo per continuare a peccare?

No, perché “[il vangelo] è potenza di Dio per la salvezza” (Rom. 1:16). Nessun’altra cosa può salvarci dal peccato! Il peccatore non viene spronato da cattive notizie o dalla paura, ma dalla rivelazione dell’amore di Dio (cf. The Desire of Ages [Gesù Cristo], p. 480). E’ “la benignità di Dio [che] li trae a ravvedimento” (Rom. 2:4). Solo un’incomprensione volontaria può travisare il vangelo.

Io ho sempre avuto l’impressione che Dio mi giudicherà e mi condannerà, se io Gli fornisco una sola occasione di farlo. Può il messaggio del 1888 apportarmi un po’ di luce in fondo al mio tunnel?

La maestosa macchina del cielo è concepita soprattutto per salvare i peccatori, non per condannarli (Giov. 3:17). Molti rimangono sorpresi nell’apprendere che il Padre ha rifiutato di “giudicare alcuno, ma ha dato tutto il giudicio al Figliuolo” (Giov. 5:22). Il testo dice che Egli si è lavato le mani di ogni giudizio, e che ha affidato il giudizio nelle mani di Cristo, perché Egli è il Figlio dell’uomo. Quindi potete essere certi che il Padre non vi condannerà mai.

Potete essere ugualmente certi che Cristo non vi condannerà. Egli dice che rifiuta di giudicare e condannare chiunque. L’unico giudizio che Egli pronuncerà è la giustificazione, la ricompensa di coloro che hanno apprezzato la Sua croce: “Se uno ode le Mie parole e non le osserva, Io non lo giudico; perché Io non son venuto a giudicare il mondo, ma a salvare il mondo” (Giov. 12:47).

Quindi, chiunque alla fine sarà condannato lo sarà per il suo proprio giudizio che incrimina se stesso, perché egli ha scelto di non credere al vangelo: “Chi mi respinge e non accetta le Mie parole, ha chi lo giudica: la parola che ho annunziata è quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno” (v. 48).

L’“ira” dalla quale il Signore vuole salvarci non è l’“ira di Dio,” come certe erronee versioni moderne traducono Romani 5:9 (il testo originale dice: “sarem per mezzo di lui salvati dall’ira;” certe versioni moderne inseriscono un’espressione che non si trova nell’originale). Dio vorrebbe salvarci nel giorno dell’ultimo giudizio dalla terribile esperienza della nostra propria ira, consistente nell’odiare noi stessi a motivo di una vita intera spesa alla ricerca di se stessi, a motivo delle occasioni sprecate e della ribellione totalmente ingiustificata contro la Sua grazia.

Va perfettamente bene dire che è facile essere salvati, “se voi credete nella Buona Notizia.” Il mio problema è che io trovo difficile credere.

Questa è un’obiezione molto pratica. Dobbiamo riconoscere che la cosa più difficile che noi dobbiamo “fare” è di credere. Noi tutti siamo stati generati, allevati, istruiti, nutriti e condizionati nell’incredulità. Noi ci risvegliamo sempre ogni mattina come degli increduli, e dobbiamo umiliare di nuovo i nostri cuori per scegliere di credere.

Mille volte al giorno dobbiamo scegliere ancora di credere a quel che ha detto il Signore. “Ogni giorno sono esposto alla morte” (o meglio, come scrivono altre versioni, “Io muoio ogni giorno”), dice Paolo (1 Cor. 15:31). Israele non poté “entrare” nella sua Terra Promessa “a motivo dell’incredulità” (Ebrei 3:12-19; 4:6), e questo è ancora oggi il nostro problema.

La nostra battaglia è sempre “il buon combattimento della fede” (1 Tim. 6:12), in altre parole, imparare come si fa a credere!

Come posso imparare a credere?

Un autore ispirato ci ha detto che noi possiamo non morire mai se impariamo a pregare con una semplice orazione, che noi troviamo in Marco 9, dove il padre angosciato di un bambino posseduto dai demoni aveva pregato così a Gesù: “Ma Tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi ed aiutaci.” Gesù notò il suo “se,” e gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede.”

Sembrava quasi che Gesù lo stuzzicasse, facendogli balenare davanti agli occhi una benedizione gloriosa, ma fuori dalla sua portata, così come noi abbiamo così spesso la sensazione. L’uomo pensava semplicemente di non essere capace di credere. Ma allora scoppiò in lacrime, si gettò ai piedi di Gesù e pronunciò questa preghiera: “Signore, io credo; sovvieni alla mia incredulità” (vv. 23, 24). “Se voi fate questo non potete morire mai, proprio mai” (The Desire of Ages (La Speranza dell’Uomo), p. 429).

“Dio ha assegnata a ciascuno la misura della fede” (Rom. 12:3). In altre parole, il Signore ha dato ad ognuno di noi la potenzialità di credere. La parola “misura” è metron, come un recipiente per misurare i liquidi. In altre parole, Egli ha “assegnata a ciascuno” la capacità di credere. Nessuno potrà accusarLo nel giorno del giudizio di avere trattenuto questa “misura.”

Nessun essere umano può credere fin tanto che non abbia prima udito la Buona Novella. Voi non potete originare in voi stessi la fede, a meno che non abbiate compreso l’amore di Dio. Nessuno possiede un motore d’avviamento automatico. Noi non possiamo compiere la nostra propria espiazione senza la rivelazione di Cristo.

La stessa fede è anch’essa “il dono di Dio” (Efesi 2:8). “Come dunque invocheranno Colui nel quale non hanno creduto? E come crederanno in Colui del quale non hanno udito parlare? E come udranno, se non v’è chi predichi la gioiosa Buona Novella? … La fede vien dall’udire e l’udire si ha per mezzo della parola di Cristo” (Rom. 10:14-17).

Nel momento in cui udite il più piccolo inizio di quella Buona Notizia, scegliete immediatamente di credervi. Non indugiate nemmeno un attimo.

Se è facile essere salvati, non dobbiamo mai combattere nessuna battaglia?

Si, dobbiamo combattere una terribile battaglia, ma questa battaglia non si trova dove noi abbiamo spesso supposto che si trovasse, ossia nell’obbedienza e nelle opere difficili che noi non sappiamo fare nel giusto modo. La vera battaglia è contro un’incredulità radicata. È quel che Paolo definisce come “il buon combattimento della fede” (1 Tim. 6:12).

Combattetela questa battaglia! Mettetevi in ginocchio, cercate attraverso quel mare di tenebre la via per raggiungere la luce che si trova dall’altra parte. Se ci vuol del tempo per combattere questa battaglia, si tratta di tempo ben impiegato. Se ci vogliono ore, o anche giorni, di digiuno e di preghiera, voi ne uscirete vittoriosi. E’ una battaglia che val ben la pena combattere. E se voi rinunciate alla lotta, dovrete sempre sopportare la consapevolezza del vostro peccato di incredulità.

Io ho bisogno di aiuto per combattere quella battaglia!

Voi troverete nella Bibbia proprio l’aiuto di cui avete bisogno. Davide ha dovuto combattere a più riprese la stessa battaglia. Leggete i suoi salmi. Fate vostra la scelta di credere, anche in mezzo alle tenebre che vi sembrano eterne, ed allora potrete dire con lui: “Si, o Eterno, io son tuo servitore, son tuo servitore, figliuolo della tua servente; tu hai sciolto i miei legami” (Salmo 116:16). Allora voi vi troverete coi vostri piedi situati su una solida roccia, e da quel momento in poi avrete sempre un cantico da cantare.

Ma tutta questa “battaglia” non significa che sia più difficile essere salvati che essere perduti, o più facile essere perduti che essere salvati. Tutti gli angeli del cielo stanno dalla vostra parte; lo Spirito Santo combatte contro la vostra carne; Cristo, il Buon Pastore, sta cercandovi e si adopera per riportarvi nel Suo gregge; voi disponete di prove continue della Sua grazia. Tutto ciò rende facile che voi siate salvati, se avrete scelto di credere.

Ma se scegliete di non credere, dovrete affrontare una lotta spossante per soffocare l’opera dello Spirito Santo volta a convincervi della vostra colpevolezza. In ciò consiste la Sua continua implorazione di non crocifiggere di nuovo Cristo. E ogni cuore onesto riconoscerà che è difficile fare questo!

Dovete afferrare la verità che Dio, nella sua essenza: Padre, Figlio e Spirito Santo, è vostro amico, e non nemico. Anche se voi siete rimasti nelle tenebre per tutta la vostra vita, cominciate col ringraziare il Signore per la luce che non riuscite ancora a vedere, per le benedizioni che non potete ancora sentire. Se Lui “chiama le cose che non ci sono come se ci fossero,” è tempo che voi cominciate a fare la stessa cosa credendo alla Sua parola. La luce sta risplendendo su di voi, poiché Cristo è “la vera luce che illumina ogni uomo che viene nel mondo” (Giov. 1:9).

Nel Pilgrim’s Progress, di Bunyan, leggiamo di un Cristiano che domanda quale sia la via per approdare alla Città Celeste. L’Evangelista gli dice, indicando colla mano: “Vedi laggiù la porticina? “No,” risponde il Cristiano. “Vedi laggiù quella luce che risplende?” Allora lui replica saggiamente a nome di noi tutti, increduli innati: “Credo di vederla.” L’Evangelista dice: “Fissala coi tuoi occhi, così tu troverai la porta.”

Se voi pensate di avere difficoltà a vedere la luce che risplende, ci sarà sicuramente un luogo dove l'oscurità non è poi così fitta. “Fissatela coi vostri occhi"; voi vedrete la luce.

Voi dite che Dio è un amico. Ciò fa sorgere questa domanda: “Dio uccide?” Il messaggio del 1888 ha qualche commento da fare al riguardo?

Non ci piace entrare in disputa su questo soggetto. Noi non predichiamo su questo soggetto, e cerchiamo di evitare l’argomento ogni volta che sia possibile. Affermiamo con forza che non crediamo che il nostro Padre celeste sia un crudele tiranno peggiore di Goebbels, Hitler e Stalin, che sia sadico e vendicativo nei confronti di quelle povere persone che non sono riuscite a prepararsi per entrare nella Nuova Gerusalemme.

Ma noi non nutriamo simpatia per quei tentativi tortuosi di distorcere o contraddire le Scritture che affermano chiaramente che il Signore talvolta ha sterminato delle persone per compiere un'esecuzione, un giudizio. Tali persone erano in uno stato di ribellione totale, senza speranza, contro il piano della salvezza, e rappresentavano una maledizione per gli altri.

Il carattere di Dio è agape, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Ma ciò non vuol dire che non ci sia una sentenza esecutiva di morte pronunciata divinamente contro i malvagi che continueranno fino all’ultimo a rifiutare di ravvedersi. Deve venire un tempo in cui Egli ritirerà da essi il Suo sistema di sostegno della vita amorevolmente accordato.

In tale giudizio di condanna, Dio non agirà unilateralmente. Questo giudizio sarà ratificato dall’intero universo (Ap. 16:5-7). Per Dio, ritirare il Suo sostegno dai malvagi è un’“opera singolare” (o meglio “inusitata,” come tradotto in altre versioni). Ma ciò costituisce un’ulteriore rivelazione del Suo amore, poiché non sarebbe infatti amore perpetuare l’esistenza di uomini che sarebbero solamente infelici.

I messaggeri del 1888 insistettero sul carattere di Dio, allorché discussero a proposito del destino ultimo dei perduti:


Il completamento dell’opera del vangelo non significa altro che la distruzione di tutti coloro che non avranno allora ricevuto il vangelo (2 Tess. 1:7-10); poiché non è secondo i piani di Dio lasciare gli uomini in vita, se l’unico uso che essi farebbero della loro vita sarebbe di accumulare su se stessi ancor più miseria (A. T. Jones, The Consacrated Way, p. 117).


L’incredulo che rifiuta il Salvatore “è già giudicato; perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figliuol di Dio” (Giov. 3:18). Ora egli vive sotto giudizio.

Quando Dio è costretto a ritirare quel sussidio di vita che i malvagi hanno ripetutamente disprezzato, essi devono perire. In effetti, per gli impenitenti che rimangono tali fino alla fine, l’affrontare Dio in giudizio significa auto-distruzione, poiché “il nostro Dio è un fuoco consumante” per il peccato (Ebrei 12:29). Quindi coloro che si sono aggrappati al peccato così saldamente come una liana ad un albero, devono necessariamente perire insieme al peccato stesso.

Ellen White ci fornisce qualche indicazione riguardo a questo soggetto?

Essa ci ha lasciato parecchie dichiarazioni che sono in armonia con quanto sopra affermato. Non possiamo citarle tutte; ecco qui di seguito alcune di queste dichiarazioni:

“Quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà” Gal. 6:7. Dio non distrugge nessun uomo. Ogni uomo che viene distrutto ha, in effetti, distrutto se stesso. Quando un uomo soffoca gli ammonimenti della coscienza, egli semina i germi dell’incredulità, e questi produrranno sicuramente un raccolto” (Our High Calling, p. 26).

Dio non si oppone al peccatore, così come l’esecutore di una sentenza si oppone alla trasgressione; ma Egli abbandona a se stessi coloro che rifiutano la Sua misericordia, onde raccolgano quel che hanno seminato (The Great Controversy [Il Gran Conflitto], p. 36).

Dio ha dichiarato che il peccato deve essere distrutto, in quanto è un male deleterio per l’universo. Coloro che si aggrappano al peccato, periranno nella sua distruzione (Christ’s Object Lessons, p. 123).

In che modo avrà luogo quella maturazione, o “distruzione”? Ellen White non si contraddice. Quel che segue risolve ogni apparente contraddizione e dimostra che v’è perfetta armonia con le sue altre numerose dichiarazioni:

Cristo dice: “Tutti coloro che Mi odiano amano la morte.” Dio concede loro l’esistenza durante un certo tempo, per consentire loro di sviluppare il loro carattere e rivelare i loro princìpi. Una volta che questo è compiuto, essi ricevono i risultati della loro scelta. Attraverso una vita di ribellione, Satana e tutti coloro che si uniscono a lui, collocano se stessi così al di fuori dell’armonia con Dio che la Sua stessa presenza costituisce per loro un fuoco consumante. La gloria di Colui che è amore li distruggerà” (The Desire of Ages [La Speranza dell’Uomo], p. 764).

Allora Dio uccide realmente i cattivi nell’ultimo giorno?

Paolo dice che “il salario del peccato è la morte” (Rom. 6:23), e la versione che dice che “il peccato paga il suo proprio salario: la morte,” non è corretta. Se uno fuma sigarette per molti anni e muore di cancro ai polmoni, possiamo dire che Dio l’ha distrutto? In un certo senso, è Lui che l’ha distrutto, poiché il fumatore ha trasgredito la Sua legge; ma il fumatore ha sicuramente distrutto se stesso, in accordo con ogni interpretazione del linguaggio umano.

La controversia e gli anatemi su questo soggetto sono fuori luogo. Non dividiamo le chiese e non creiamo inimicizia con fratelli e sorelle. Uno può leggere nelle Scritture dieci testi che dicono che Dio ha indurito il cuore del faraone; ma ci sono dieci testi che dicono che è il faraone che ha indurito il suo proprio cuore (cf. Ex. 8:15, 32 e 9:12, ecc.)

Se noi ci irritiamo su questo punto, o su altri punti opinabili, potremmo finire per essere noi stessi degli assassini, poiché “chiunque odia il suo fratello è omicida” (1 Giov. 3:15).

Come si concilia il ravvedimento con la giustificazione?

La bontà di Dio sta già conducendo ogni anima umana al ravvedimento (Rom. 2:4). Si tratta di un felice dono di Dio (Atti 5:31). Siccome è il peccato che arreca infelicità, miseria, e vani rimorsi, il fuggire dal peccato porta automaticamente la felicità.

Un figlio di Dio confessa ogni suo peccato conosciuto e gioisce oggi della salvezza per fede, ma poi domani egli si ricorda di un livello più profondo di peccato, di cui non si era reso conto oggi. Questa è la dimostrazione che il Confortatore è venuto, poiché la Sua prima opera è quella di convincere di peccato (Giov. 16:8). Opera benedetta! Se Egli non ci indicasse il peccato, noi periremmo alla fine con esso. Durante questo grande Giorno d’Espiazione, lo Spirito Santo continua quest’opera.

“Dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata.” … perciò quando il Signore ci ha dato, con la Sua legge, la conoscenza del peccato, in quel momento stesso la grazia è molto più abbondante della conoscenza del peccato.

Quindi non v’è luogo per lo scoraggiamento alla vista dei peccati, vero? … E’ il Confortatore che rimprovera! Allora che cosa dobbiamo ottenere dal rimprovero del peccato? [Congregazione: “Conforto.”] (A. T. Jones, General Conference Bulletin, 27 febbraio 1893).

E ciò continua per tutta la vita. In ogni momento, esiste nell’esperienza del cuore una certa misura di “tu non sai,” di inconsapevolezza. “Ad ogni passo in avanti compiuto nell’esperienza cristiana il nostro ravvedimento si approfondirà” (Christ’s Object Lessons, p. 160). Questa è l’opera sulla terra che va di pari passo con la purificazione del santuario nel cielo.

Voi dite che questa è un’“opera felice.” Ma non somiglia piuttosto, giudicando superficialmente, a una miseria senza fine?

La scoperta della vanità di una vita di egoismo e di peccato non deve sgomentarci, sopraffarci per lo scoraggiamento. Più noi ci avviciniamo a Cristo, più noi faremo l’esperienza del ravvedimento, ma anche Cristo ha sperimentato il ravvedimento a beneficio nostro. Il ravvedimento è una realtà, e questa realtà costituisce per l’anima vera pace e vera felicità.

I peccati degli altri vengono visti come se fossero i nostri peccati, se non fosse per la grazia di Cristo. Siccome Cristo non ha commesso peccato, anche se ha vissuto l’esperienza del ravvedimento per i peccati del mondo, quel che Egli ha vissuto deve essere stato un ravvedimento corporativo, collettivo (cf. Ellen White, General Conference Bulletin, 1901, p. 36). Noi non abbiamo mai confessato veramente i nostri peccati fino a quando non ci renderemo conto che la nostra vera colpa, se non fosse per la grazia di Cristo, è il peccato dell’umanità. Non possiamo mai dire di nessun altro uomo, o di nessun’altra donna, che noi siamo naturalmente migliori di lui, o di lei. Ogni bontà che noi possediamo è da imputare interamente a Cristo.

Che cosa significa perdono?

Noi non apprezzeremo mai veramente il perdono fino a quando non prenderemo coscienza di quel che esso sia, e di quanto debba penetrare in profondità. Una conoscenza superficiale del nostro peccato comporta un perdono superficiale, e questo a sua volta significa felicità superficiale. Essa ci abbandonerà proprio nel momento di maggiore bisogno.

La parola greca "perdono" significa rimozione effettiva del peccato. Una persona veramente perdonata odierà immediatamente il peccato che è stato perdonato. Il termine italiano equivalente ci ricorda che perdono significa che deve esserci un’opera da compiere, consistente nel “dare per” (per-donare) quello che ha generato la punizione del peccato.

Dunque, consentite allo Spirito Santo di continuare la Sua opera. Non fermateLo, non resisteteGli. Egli è chiamato il

Confortatore perché la conoscenza del nostro peccato è veramente una Buona Novella confortante. Essa è una speranza per noi.

Se voi avete un cancro mortale, ma non sapete di averlo, siete condannati. Ma se un medico informato vi dice la verità, in modo che vi possiate sottoporre subito ad un intervento chirurgico per salvare la vostra vita, non rappresenta ciò una buona notizia?

E non dimenticate che quando il Consolatore vi convince di peccato, Egli lo fa affinché voi possiate imparare a comprendere i bisogni del cuore degli altri. Verrà il momento in cui le nostre preghiere saranno piuttosto focalizzate sugli altri, o addirittura su Cristo, invece che su noi stessi. Allora noi saremo veramente capaci di pregare “nel nome di Gesù.”

Ammettiamo che sia facile essere salvati. Ma non è facile perdere la nostra salvezza? Io trovo difficile osservare un programma di devozione.

La giustificazione è sempre “per fede,” e in nessun caso per opere. Quindi la giustificazione per fede non è “difficile da mantenere,” come dicono alcuni, a meno che non sia difficile credere.

E la santificazione è pure “per fede,” così come la giustificazione. Alcuni negano ciò; ma comunque noi traduciamo le parole di Gesù, esse finiscono per avere lo stesso significato, quando Egli dice che noi “riceviamo, per la fede in Lui, la remissione dei peccati e la nostra parte d’eredità fra i santificati” (Atti 26:18).

Quindi il problema ritorna di nuovo al fatto di credere. “Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù il Signore, così camminate uniti a Lui” (Col. 2:6). Come facciamo a riceverLo? Per fede. Come dobbiamo quindi in seguito “camminare” per sempre con Lui? Per fede, ovviamente.

Ma ho sentito spesso affermare che sebbene Cristo ci abbia dato l’avvio, noi dobbiamo continuare a correre per nostro conto, mantenendo la nostra velocità, altrimenti falliremmo nell’intento.

I legalisti che si trovavano tra i fedeli della Galazia, apparentemente credevano che solo la giustificazione iniziale fosse per fede, ma che dopo essi dovessero perseverare nella vita cristiana attraverso le buone opere. Paolo li rimise sul buon cammino: “Avete voi ricevuto lo Spirito per la via delle opere della legge o per la predicazione della fede? Siete voi così insensati? Dopo aver cominciato per mezzo dello Spirito, volete ora raggiungere la perfezione per mezzo della carne?” (Gal. 3:2, 3).

La nostra salvezza non dipende dal nostro aggrapparci con forza alla mano di Dio, ma dal nostro credere che Egli stia tenendo stretta la nostra mano (Isaia 41:10, 13).

Mi è stato detto che per restare in possesso della salvezza devo “leggere la Bibbia, pregare e testimoniare.” Sono proprio queste le cose che io trovo difficile fare.

E’ bene studiare la Bibbia, pregare, e testimoniare, ma il fare queste cose in quanto opere necessarie non costituisce il modo di mantenere la salvezza. Se è vero che Dio prende l’iniziativa per la nostra salvezza, è ugualmente vero che Egli mantiene quell’iniziativa.

In altre parole, una volta che voi avete iniziato la vita cristiana il Signore non si ritira, così come fa un concessionario di automobili dopo che voi avete acquistata la vostra auto, lasciandovi in seguito lottare da soli. Il lottare da soli ci scoraggia e indurisce il nostro cuore.

Il Buon Pastore prende ancora l’iniziativa di cercare la Sua pecora perduta. Egli continua ancora a bussare alla porta del cuore. E “Colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6). Non dobbiamo mai pensare che il nostro divino amico diventi indifferente nei nostri confronti.

Come fece Gesù a mantenere nella Sua umanità la Sua unione col Padre? Egli era umano; Egli disponeva di sole 24 ore al giorno così come noi; Egli era occupato così come lo siamo noi, ed Egli aveva bisogno di dormire come noi. Egli ci fornisce un’immagine sorprendente della Sua vita di devozione: il Padre manteneva l’iniziativa. Parlando della Sua vita di preghiera e di studio della Bibbia, Gesù dice nella profezia:

“Il Signore, l’Eterno, m’ha dato una lingua esercitata perch’io possa sostenere con la parola lo stanco;

Egli risveglia, ogni mattina, il mio orecchio, perch’io ascolti, come fanno i discepoli” (Isaia 50:4).

Il Padre Suo Lo svegliava mattina dopo mattina affinché Egli potesse ascoltare e imparare. A tutti coloro che “sono affamati ed assetati della giustizia” il Signore promette un cibo nutriente (Matt. 5:6). Siccome esiste un solo tipo di giustizia (la giustizia per fede), quel che il Signore sta dicendo è che una fame che dura tutta una vita, per una dose sempre maggiore di giustizia per fede, costituisce la felicità. Voi avete fame di imparare sempre più, e non siete mai soddisfatti di quel che avete imparato ieri, nello stesso modo come non siete mai soddisfatti per il cibo che avete mangiato ieri.

Noi non mangiamo il nostro cibo quotidiano perché ce lo dice la Bibbia, oppure perché ce lo dice Ellen White; noi mangiamo perché abbiamo fame. Un rifugiato africano denutrito, ma affamato, sta meglio di un milionario che è cosi ammalato da non avere appetito.

I ministri del vangelo hanno un problema particolare a questo proposito. Essi sono spesso soddisfatti di quel che hanno imparato al college o nel seminario teologico, o di quello che hanno imparato studiando per il sermone dell’ultima settimana.

La Bibbia rivela una trinità celeste amorevole, Padre Celeste Creatore, Figlio Gesù Salvatore e Spirito Santo Divino Amore, anelante a mantenere un legame permanente con noi. Essa ci invita continuamente a “colazione,” ma, naturalmente, se noi non abbiamo fame rifiuteremo l’invito.

Come posso acquisire questa fame e questa sete?

Ciò è quanto il Signore dà a coloro che ascoltano e credono alla Buona Notizia. Essi desiderano ricevere di più, nello stesso modo come quando voi assaggiate qualcosa di gustoso e ne desiderate ancora. Essi non hanno bisogno di fissare la sveglia per destarsi in tempo, così come non devono sforzarsi per leggere e pregare, come se questo fosse un “lavoro.”

E’ facile per noi trasformare una vita di devozione in un programma di opere. Charles Wesley aveva ragione scrivendo il suo inno, “Gesù, Amante dell’anima mia,” anche se i dignitari della Chiesa d’Inghilterra dell’epoca furono scandalizzati dall’idea. Il Signore è il divino Amante della vostra anima; Egli vi cerca, vi corteggia addirittura.

Ma notate come Gesù corrispose all’iniziativa quotidiana del Padre Suo di svegliarLo “mattina dopo mattina” per “imparare:”

“Il Signore, l’Eterno, m’ha aperto l’orecchio; ed Io non sono stato ribelle e non mi son tratto indietro” (Isaia 50:5).

Oh, quante volte noi siamo stati “ribelli,” ed abbiamo declinato l’invito quando Egli ha bussato alla nostra porta alle prime ore del mattino! Questo perché talvolta siamo rimasti alzati fino a tardi per guardare l’ultimo spettacolo alla TV, per cui ci siamo privati di un adeguato riposo, rendendoci così sordi ai Suoi appelli. (Se la Scrittura dice che il giorno inizia al tramonto c’è una ragione!).

Scopo del messaggio del 1888 della giustizia di Cristo è di risvegliare nella nostra anima quella fame e quella sete. Il vangelo è il pane di vita; e una volta che voi l’avete gustato, da quel momento in poi vorrete sempre “mangiarne” senza che ciò vi sia imposto. Che gioia! Avere sempre fame e sete per una quantità ulteriore. I divertimenti del mondo, la TV, gli sport, la ricerca di sensazioni effimere, lo shopping, tutto perde la sua attrattiva quando voi avete “gustato” il vangelo per quel che esso rappresenta veramente. Molti, oggi, testimoniano che questa fame è nata nelle loro anime ascoltando o leggendo le verità del messaggio del 1888.

Supponiamo che voi continuiate a cercare senza riuscire ad ottenere questa “fame”: Che fare allora?

Ciò non vuol dire che non debba mai esserci un tempo in cui praticare un’alimentazione forzata. Una persona malata deve essere talvolta alimentata per fleboclisi. Ma questo non è il modo di vivere di una persona sana. E noi non ritroveremo mai la salute ingurgitando pillole e pastiglie al posto di un nutrimento completo. Cinque o dieci minuti di studio biblico forzato e frettoloso e una preghiera occasionale non costituiscono un’alimentazione spirituale adeguata.

Se voi vi ammalate di influenza, non vi prendete un giorno di congedo dalla scuola o dal lavoro per restare a letto e rimettervi in salute? Perché non prendere un giorno di congedo per digiunare e pregare? Non dovete ricercare Dio come se Egli volesse nascondersi da voi, ma dovete prendere il tempo per ascoltarLo mentr’Egli vi cerca.

È questo che intende dire Isaia quando scrive: “Cercate l’Eterno, mentre Lo si può trovare; invocateLo, mentr’è vicino” (55:6). Egli non si nasconde da voi, Egli è “vicino.”
(La parola ebraica tradotta con “cercare” significa informarsi di, prestare attenzione a; v. 1 Sam. 28:7).

Cominciate con avere fiducia che il Signore manterrà la Sua promessa a vostro riguardo. Il Signore dice che “Egli … è il rimuneratore di quelli che Lo cercano diligentemente” (Ebrei 11:6). Ancora una volta, la vostra parte consiste semplicemente nel crederGli!

Io ho un problema col “messaggio del terzo angelo” di Apocalisse 14:9-11. Si presume che esso sia la Buona Notizia della “giustificazione per fede;” ma perché esso sembra una notizia così cattiva?

Si, il messaggio del terzo angelo di Apocalisse 14:9-11 sembra permeato da una ferocità di “fuoco e zolfo.” I giovani credono di riconoscere in esso il ritratto terrorizzante di peccatori sventurati che si contorcono giorno e notte in un tormento indicibile. E, per rendere l’immagine ancora peggiore, “i santi angeli” e Gesù stesso sembrano gioire alla vista di quell’indicibile agonia umana.

E qual è la colpa principale di questa gente in agonia, secondo Ellen White? Sembra che essi abbiano semplicemente confuso un giorno di culto con un altro. E’ verosimile questo? Ecco che cosa dice il terzo angelo:

Se qualcuno adora la bestia e la sua immagine e ne prende il marchio sulla fronte o sulla mano, beverà anch’Egli del vino dell’ira di Dio mesciuto puro nel calice della Sua ira: e sarà tormentato con fuoco e zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell’Agnello. E il fumo del loro tormento sale ne’ secoli dei secoli; e non hanno requie ne’ giorno ne’ notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome.

Apparentemente, ciò accadrà a molta gente, il che provoca una viva paura. Non c’è qui alcuna parola di grazia, alcuna menzione della croce o dell’amore di Dio; ed anche la compassione sembra totalmente esclusa, poiché l’“ira” di Dio deve essere “mesciuta pura,” senza traccia di misericordia.

E tutta questa grande indignazione celeste sembra essere provocata da una semplice questione, determinata da una celebrazione di un giorno invece che un altro da parte di un certo numero di persone!

Il problema più difficile che i giovani hanno con questo passaggio è l’immagine che essi ne ottengono dei “santi angeli” e di Gesù, che apparentemente presiedono a questa sessione di torture come dei sadici signori della guerra nazisti che giubilano dei tormenti delle loro vittime. Anche se noi possiamo rifiutare, indulgenti e indignati, quest’impressione, permane il fatto che molta gente pensa di vedere quest’immagine nel testo stesso della Bibbia.

Per coloro che scorgono nel messaggio del 1888 la luce di una grazia molto più abbondante, si presenta un nuovo problema: come potrebbe Ellen White caratterizzare come vangelo tutto questo, che non sembra essere altro che terrorismo grossolano? Per lei “il messaggio del terzo angelo in verità” è “preziosissimo” (Review and Herald, 1 aprile 1890). Molti pastori, temendo questo problema, hanno cessato del tutto di parlare del “messaggio del terzo angelo.”

Che cosa ha a che fare questo messaggio del terzo angelo col vangelo della giustificazione per fede?

Possiamo cercare aiuto nella Bibbia stessa per rispondere a questa domanda? Notate quanto segue:

(1) Il terzo angelo non reca un messaggio isolato. Egli è stato preceduto da altri due angeli, e non ha fatto altro che “tenere dietro a quelli.” Il primo angelo prepara la scena, “recando l’evangelo eterno per annunziarlo a quelli che abitano sulla terra.” Quindi la Buona Notizia deve trovarsi tanto nel messaggio del terzo angelo, essendo un seguito del primo.

(2) “Il suggello dell’Iddio vivente” è il puro vangelo, e costituisce l’altra faccia della medaglia del “marchio della bestia.” Giovanni collega il sigillo di Dio di Apocalisse 7:1-4 coi messaggi dei tre angeli di Apocalisse 14, poiché il soggetto di entrambi i passaggi è di cercare e salvare un gruppo di persone noto come i “144.000.” Il profeta si rende conto che non esiste alcun modo in cui questo gruppo possa prepararsi a sussistere “senza macchia davanti al trono di Dio,” a meno che questo “evangelo eterno” di grazia non sia finalmente compreso e proclamato nella sua pienezza.

(3) Il “marchio della bestia” non è una calamità o una crisi che Dio reca sulla terra. Non dobbiamo pensare male di Dio! Secondo Apocalisse 13 è il diavolo che reca questa calamità, come risultato finale della storia della ribellione umana. E il cielo è impotente a impedirlo. Nessuno degli orrori predetti dalla profezia proviene da Dio; invece Egli ci avverte di ciò a cui va incontro inevitabilmente la storia umana.

(4) Il messaggio del terzo angelo avverte il mondo che la ribellione umana conduce necessariamente a quest’ultima conclusione. Nella Sua misericordia, questo messaggio deve preparare un popolo per affrontare questa crisi.

(5) Ma questo popolo non può prepararsi, se non gli viene fornita una rivelazione senza precedenti delle dimensioni complete dell’“evangelo eterno,” poiché solo questo “vangelo … è la potenza di Dio per la salvezza.” Se c’è un ultimo peccato umano, ci deve anche essere un’ultima rivelazione di grazia per poterlo affrontare. Quindi il vero messaggio del terzo angelo è vangelo, nient’altro che vangelo.

Ciò che è implicito qui, è la più chiara e più potente presentazione della Buona Novella che abbia mai illuminato la terra, poiché essa deve compiere un’opera di grazia che non è mai stata compiuta in precedenza. Non è mai stato preparato un gruppo come quello dei 144.000 per vincere l’ultima tentazione irresistibile di Satana, e per prepararsi a essere mutati in cielo senza passare attraverso la morte.

(6) Quelle sventurate persone in tormento non sono colpevoli di una banale colpa di avere semplicemente confuso un giorno di adorazione con un altro. Il problema sabato-domenica indica la differenza tra la fedeltà al vero Cristo e la fedeltà al Suo nemico, il quale si farà passare per Cristo. Egli amministrerà uno “Spirito Santo” falso e contraffatto.

Il problema non è una gelosia da parte di Cristo. Quando una persona sceglie di essere fedele a Satana, essa invita realmente la sofferenza e la morte a venire su di sè e su altri. Se gli si consentisse di continuare, il peccato saboterebbe l’intero universo e porterebbe alla rovina e al caos la civiltà cosmica del cielo, così come ha già fatto con gran parte di questo pianeta. Il peccato è ribellione contro Dio e alto tradimento contro il Suo governo.

(7) Il governo di Satana rovinerà la terra. Esso favorirà l’amore di se stessi, con l’orgoglio e l’arroganza che l’accompagnano. Il sigillo di Dio è il segno della croce, l’esperienza dell’ego che viene crocifisso con Cristo attraverso un apprezzamento del Suo amore che si è rivelato alla croce stessa. Il marchio della bestia è il contrario, è l’insegna della dedizione all’interesse per se stessi, una reazione del cuore totalmente istintiva contro tale amore. Esso è il segnale del collasso finale di ogni sembianza di ordine o di sicurezza sulla terra. Noi non possiamo immaginare oggi le scene di orrore recate dal “tempo d’angoscia” finale.

(8) Tutti coloro che ricevono quel “marchio della bestia”, dovranno alla fine partecipare essi stessi alla re-crocifissione di Cristo nella persona dei Suoi santi. Così alla fine si manifesteranno insieme, da una parte la piena rivelazione della depravazione peccaminosa dell’umanità, dall’altra la piena rivelazione della giustizia amorevole dell’agape. Il messaggio del terzo angelo definisce la questione e divide l’umanità in quei due campi.

Ovviamente, ciò significa molto più di quanto noi abbiamo riassunto superficialmente. Deve essere per questo motivo che Ellen White disse:

Pochi sono, anche fra coloro che pretendono di crederlo, quelli che comprendono il messaggio del terzo angelo; e tuttavia questo è il messaggio per il nostro tempo. … La mia guida ha detto: “C’è ancora molta luce che deve emanare dalla legge di Dio e dal vangelo di giustizia. Questo messaggio, compreso nel suo vero carattere, e proclamato nello Spirito, illuminerà la terra con la sua gloria” (MS. 15, 1888).

Ma ancora, non sembra che in questo messaggio Dio stia perdendo la Sua pazienza?

Esaminiamo più attentamente il testo originale. Esso ci fornisce un’immagine diversa da quella di un Dio che ha un accesso di collera. Alcune parole greche vengono solitamente tradotte in modo tale da dare quest’impressione “di rabbia;” ma se le comprendiamo nel suo significato corretto, tali parole ci forniscono una Buona Notizia:

(a) L’“ira di Dio” è thumos, una parola che significa “passione,” piuttosto che collera. Per esempio, thumos è usato nel messaggio del secondo angelo per descrivere la “collera” della fornicazione di Babilonia. Pensiamo normalmente alla fornicazione come ad un accesso di rabbia? No; si tratta di accondiscendere ad una passione incontrollata.

Arndt e Gingrich traducono così il versetto 8: “Babilonia ha fatto bere alle nazioni il vino della sua immoralità impulsiva.” Babilonia ha reso le nazioni ebbre con la passione sfrenata del suo adulterio spirituale. Ora il terzo angelo “segue” questo nuovo sviluppo della situazione, dicendo che Dio non può fare a meno di reagire con la risposta ovvia: una passione, un impulso di giusta gelosia. Cristo è morto per redimere l’umanità, ed ora Babilonia sta distruggendo il mondo. Ciò descrive Dio in una luce diversa.

(b) La coppa dell’“indignazione” di Dio è orge, da cui deriva la nostra parola “orgia.” Di nuovo, l’idea non è tanto quella di una collera sfrenata, quanto piuttosto l’idea dell’abbandono di ogni moderazione. Non è che Dio voglia prendersi la rivincita su questi miseri peccatori; ma Egli dà prova di una reazione divina amorevole e interamente giusta contro il male del peccato, che produce dolore e morte nel Suo mondo che era stato una volta perfetto. Quest’ultimo giudizio in risposta al peccato è un atto dell’agape di Dio, così come lo fu il sacrificio di Dio per il peccato.

Ora questa risposta divina deve manifestarsi infine senza restrizioni, poiché i malvagi hanno preso la loro ultima decisione in favore del peccato e delle sue tragiche conseguenze. Essi cercano di distruggere il popolo di Dio, il cui corpo collettivo rappresenta la Sposa di Cristo.

(c) Relativamente ai perduti che sono tormentati “nel cospetto dei santi angeli “e nel cospetto di Gesù, “nel cospetto” è reso da enopion, da en, in, e ops, l’occhio, letteralmente ai loro occhi, o davanti al loro viso. L’idea non è che il cielo provi in qualche modo piacere nell’assistere al loro tormento, come gli inquisitori che gioivano di un auto-da-fe. Il “tormento” di coloro che ricevono il marchio della bestia è totalmente auto-inflitto.

In Apocalisse 6:16 i malvagi chiedono di essere protetti dal cospetto “di Colui che siede sul trono.” Ora nel capitolo 14 è la vista di quel viso (“nel cospetto dell’agnello”) che causa “tormento,” e non la paura abietta del dolore per la punizione, come uno schiavo che teme la frusta del suo padrone; è la struggente auto-condanna degli empi, consci di tutta la realtà della loro colpa, in contrasto con la giustizia completa dell’Agnello che avevano disprezzato.

Ellen White commenta circa il tormento dei malvagi nel momento in cui si troveranno di fronte a Gesù:

I malvagi pregano di essere sepolti sotto le rocce dei monti, piuttosto che di affrontare il volto di Colui che essi avevano disprezzato e rifiutato.

Essi conoscono quella voce che penetra nelle orecchie dei morti. Quante volte i dolci accenti imploranti di quella voce li hanno invitati al ravvedimento. Quante volte essa è stata udita nelle esortazioni commoventi di un amico, di un fratello, di un Redentore. Per coloro che hanno rifiutato la Sua grazia, niente può essere così pieno di condanna, così carico di accusa, come quella voce che tanto a lungo ha implorato: “Rinunciate, rinunciate alle vostre vie malvagie; perché vorreste voi morire?” … Quella voce risveglia dei ricordi che essi sarebbero ben contenti di cancellare: avvertimenti disprezzati, inviti rifiutati, privilegi trascurati. … Invano essi cercano di nascondersi dalla maestà divina del Suo volto, risplendente di gloria più del sole (The Great Controversy [Il Gran Conflitto], pp. 642, 667).

Se compreso in modo corretto, “il messaggio del terzo angelo in verità” prepara il peccatore penitente a sussistere “al cospetto dei santi angeli e dell’Agnello,” senza timore, o vergogna, o colpa. Ecco l’ultima misura della Sua grazia. La chiesa mondiale, e anche il mondo che la circonda, anela di udire questo messaggio nella sua pienezza.


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CAPITOLO 3° | SOMMARIO